Prescrizione. Cosa è e perché. Un marchio d’infamia per l’uomo pubblico
26 Febbraio 2012 in Appunti
Si aggiunge in coda alla nota che segue, per chi volesse approfondire, la linea guida di riforma dell’istituto della prescrizione, redatta dalla Commissione ministeriale del 2007, che richiama il lavoro delle precedenti commissioni.
Commesso un reato, dopo un certo periodo di tempo, non è più possibile procedere penalmente nei confronti del colpevole.
La ragione di questa norma, si spiega con il fatto che, se lo Stato non riesce ad esercitare il suo potere entro un tempo prestabilito, è come se vi rinunciasse.
E’ ovvio che vengano colpiti dalla prescrizione, le situazioni più diverse, non esistendo la possibilità di fare una legge per ogni singolo caso. Faccio un esempio.
Viene scoperto il cadavere di una persona. Fatti gli accertamenti, si ha la certezza che si tratti di morte violenta, risalente a 30 anni prima della scoperta. Ulteriori indagini, consentono di conoscere il nome della vittima, la ragione violenta della morte, il possibile autore dell’uccisione.
Viene interrogato il presunto omicidia, che confessa il motivo e le modalità dell’omicidio.
Ma sono passati 30 anni. Il reato è prescritto per il decorso del tempo. E la medesima cosa accadrebbe, se il tempo massimo maturasse dopo la condanna, anche confermata in appello, ma ancora pendendo il processo in Cassazione.
La legge stabilisce quanto è il tempo massimo di ogni reato.
Per il reato di corruzione di un testimone, reato ricostruito definitivamente dalla Cassazione con la sentenza Mills, il tempo massimo era di 10 anni. Sino al 2005, il tempo della prescrizione, era di 15 anni. Poi, con la legge cosidetta exCirielli (una delle leggi ad personam, di cui ha beneficiato Berlusconi, in altre 4 occasioni), sono stati notevolmente accorciati i tempi della prescrizione.
I giudici di Milano, facendo i conti, hanno deciso che è scaduto il tempo massimo.
Prima di dichiarare la prescrizione, il Tribunale aveva l’obbligo di valutare se Berlusconi dovesse essere assolto perchè non colpevole. Fatta questa verifica, più semplice quando avviene da parte dello stesso giudice che ha istruito il processo, avendo escluso di dover assolvere Berlusconi, ha applicato la legge, ossia non ha emesso la sentenza di condanna, perchè il reato è prescritto.
In questo caso, quasi tutto viene cancellato. Rimangono in vita solo le obbligazioni civili scaturenti dal reato. Ad esempio, lo Stato può chiedere i danni a Berlusconi, scaturiti dall’essere stata deviata la giustizia con la corruzione del testimone Mills.
Ecco la ragione per cui la difesa preannuncia l’appello, essendo altamente prevedibile che, nella motivazione, saranno spiegate le ragioni del perchè Berlusconi non è stato assolto.
Insomma la cosidetta sentenza di condanna senza pena. Un marchio di infamia per un uomo pubblico.
Appartiene alla categoria delle fandonie, il proclama della innocenza di Berlusconi, subito diffuso dall’apparato, che tenta, così, di prendere in giro i cittadini.
Per chi volesse approfondire, allego, come detto, a seguire le linee guida della commissione ministeriale per la riforma del codice penale, del 2007, sull’istituto della prescrizione. I lavori della commissione, si collegano a quelli delle precedenti commissioni ministeriali:
“L’istituto della prescrizione del reato disciplina la difficile alternativa tra punire o non punire, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dal fatto. Nel nostro ordinamento, con particolare riferimento alla prescrizione del reato, tale alternativa è divenuta problematica a causa di una strutturale sperequazione tra tempi disponibili per il processo penale e tempi necessari al processo. Si registra cioè una permanente incongruenza tra il tempo che la prescrizione del reato lascia a disposizione dell’attività giurisdizionale e l’estensione cronologica di alcune tipologie di procedimenti penali, caratterizzati dall’elevato numero di imputati, dalla particolare composizione del quadro probatorio o dalla complessità degli accertamenti necessari per il giudizio.
Ne è conseguito che la prescrizione ha di fatto subìto una trasformazione silente a causa del complessivo mutamento del sistema penale: da strumento eccezionale, volto a conferire implicitamente una legittimazione tecnica alla permanenza del potere punitivo statale nel tempo, a congegno continuativo di deflazione e contenimento dell’ipertrofia penale.
La Commissione ha valutato diversi possibili assetti della disciplina in materia di prescrizione.
1) Quella prevista, dal 1995, nel nuovo codice penale spagnolo (art. 132, comma 2 c.p.), che stabilisce che tutta la durata del processo debba essere scorporata dal computo della prescrizione. Il legislatore iberico ha ritenuto contraddittorio permettere la prescrivibilità di un reato mentre è in corso un procedimento per accertare le singole responsabilità. Non si è ritenuto di aderire a questo orientamento in quanto la lentezza dei nostri procedimenti, derivanti dalla scarsità di risorse umane e materiali disponibili per la giustizia penale, addosserebbe il peso della inefficienza del sistema penale esclusivamente all’imputato, generando un processo tendenzialmente illimitato, che proseguirebbe anche quando l’intera collettività abbia rimosso l’impatto del reato. Dal punto di vista normativo si violerebbe inoltre in troppi casi il dettato dell’art. 111, comma 2 Cost., che sancisce il principio della ragionevole durata del processo.
2) Si è poi valutata la proposta di istituire due distinti meccanismi estintivi. Il primo (prescrizione del reato) opererebbe prima dell’inizio dell’attività giurisdizionale ed il secondo (prescrizione endo-processuale) regolerebbe la durata massima del processo, nel caso venisse instaurato. L’esercizio della prescrizione penale fungerebbe da causa di estinzione della prescrizione del reato e varrebbe come momento da cui computare la prescrizione dell’azione. Se il primo regime prescrizionale rimane pressoché invariato rispetto all’originaria configurazione codicistica, il secondo prevede distinti intervalli estintivi che valgono per ciascun grado del processo. Non esisterebbe un tetto massimo della prescrizione ed il limite finale alla durata del processo si ricaverebbe sommando i termini validi per ciascun grado, che possono inoltre subire un allungamento in presenza di cause di sospensione, che però non possono mai dilatare i termini di oltre la metà. La Commissione non ha aderito a tale proposta in quanto, sommando i tempi della prescrizione del reato ai vari intervalli che compongono il termine temporale per la prescrizione del processo (con le relative sospensioni), si giungerebbe a termini prescrizionali cumulativi eccessivamente dilatati: ad esempio 17 anni per le contravvenzioni punite con l’arresto e più di 50 anni per i delitti più gravi, stante l’operatività congiunta dei due meccanismi prescrizionali.
3) Altra proposta esaminata è stata quella contenuta nel disegno di legge 260 del 2001, primo firmatario il sen. Fassone. Tale disegno di legge delinea, al pari del precedente progetto, una prescrizione del reato assai simile a quella codicistica precedente alla riforma ex Cirielli ed una prescrizione del procedimento e prevede un meccanismo di delimitazione temporale della prescrizione del processo penale. L’autorità giudiziaria avrebbe la facoltà di rinnovare la prescrizione tramite gli atti di cui all’art. 160 (cui si aggiungono l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e le impugnazioni), ma tali atti dovrebbero succedersi ad una distanza temporale non superiore ai due anni l’uno dall’altro. I rilievi che sono stati mossi a tale proposta si sono incentrati essenzialmente sull’“appiattimento” del termine biennale per ogni categoria di reato (dai reati bagatellari a quelli di criminalità organizzata), che sarebbe inoltre identico per tutte le diverse fasi del processo. È inevitabile, come per il precedente progetto, il contrasto con il principio della durata ragionevole del processo, anche in quanto il tempo trascorso durante una delle diverse cause di sospensione della prescrizione del processo non ha alcun effetto ai fini prescrizionali.
Le riflessioni della Commissione si sono incentrate soprattutto sul fatto che una razionale riforma di tale istituto non può non tener conto dei fattori di ineffettività dell’ordinamento penale e che la scelta tra diverse opzioni non deve essere guidata da una cornice puramente valoriale: la difesa sociale versus la garanzia del reo. Il piano esclusivamente assiologico è infatti povero di contenuto informativo per il riformatore alle prese con concreti problemi di disciplina. Inoltre, a ben interpretare l’esigenza di difesa della società dal crimine, non si riscontra nessuna implicazione in ordine alla dilatazione dei termini prescrizionali. In realtà, sia la garanzia dei diritti di imputati e rei, sia l’effettiva difesa della società dall’illegalità, puntano al medesimo risultato: l’applicazione della pena in tempi ragionevoli, comunque quanto più ravvicinati nel tempo alla commissione del reato. Non si può infatti ritenere efficace un sistema che infligga la pena a così grande distanza di tempo dai fatti, tanto da non essere più ricordato dalla collettività: una prescrizione “dilatata” non è strumentale ad un diritto penale effettivo, ma rappresenta la ratifica di un diritto penale inefficace ed incerto.
La prescrizione non può essere delineata a prescindere dal processo penale. Ce lo dice in primo luogo un carattere della disciplina comunemente predisposta dai sistemi penali: il decorso della prescrizione necessita solo di un fatto storico potenzialmente qualificabile come reato, a prescindere dalla concreta esistenza di un fatto tipico e antigiuridico rimproverabile ad una persona fisica. In altro modo, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui si verifica un “reato in senso processuale”, una situazione suscettibile di verifica processuale e non dal momento eventuale e successivo in cui di quel reato si rinvenga un autore.
A maggioranza, la Commissione ha ritenuto che la soluzione debba orientarsi nel seguente modo:
1) distinta regolamentazione di due regimi prescrizionali: uno precedente all’azione penale; l’altro che interviene quando l’interesse pubblico alla punizione si sia manifestato tramite l’esercizio dell’azione penale;
2) previsione di termini del primo tipo di meccanismo prescrizionale proporzionati in funzione della gravità del reato, valutato sulla base della pena edittale, tenendo conto delle eterogenee comminatorie edittali presenti nel nostro ordinamento. A maggioranza si è ritenuto di definire tali termini per classi (numericamente ridotte) di fattispecie, come previsto dal codice penale prima dell’attuale normativa, e non sulla base della pena edittale massima prevista per il singolo reato.
3) dopo l’esercizio dell’azione penale, la prescrizione deve essere delineata sulla base dei tempi di accertamento richiesti dalla tipologia del processo (definiti tramite l’individuazione di limiti temporali ben definiti).
4) indicazioni di cause di sospensione della prescrizione cd. processuale, tra cui lo svolgimento di perizie di particolare complessità, rogatorie internazionali, impedimento dell’imputato o del difensore, dichiarazione di ricusazione ecc.
Ne consegue che la prescrizione non debba più rientrare tra le cause di estinzione del reato ma tra le cause di procedibilità (ovvero, come pare orientata la Commissione per la riforma del codice di procedura penale, come “causa di decadenza”).
I Commissari dissenzienti, in alternativa, hanno proposto una disciplina della prescrizione sostanzialmente ricalcata sul modello degli artt. 157 ss. c.p. previgenti alla legge ex Cirielli, ovvero una disciplina che si basa sull’entità della pena edittale che viene aumentata in caso di atti interruttivi e/o sospensivi. Non sono neppure mancate proposte, anch’esse respinte dalla maggioranza, di considerare unitariamente i tempi del processo ai fini di un computo globale del termine prescrizionale.
Oltra a quanto stabilito dall’art. 44 del progetto, era stata approvata la seguente direttiva, che, data la delicatezza del tema, e considerata la ampia discussione che vi è stata in Commissione, si ritiene di dover riportare integralmente:
“ove esercitata l’azione penale entro i termini indicati, il reato è prescritto qualora decorrano i seguenti ulteriori termini:
a) cinque anni per la pronuncia del dispositivo che conclude il primo grado di giudizio;
b) due anni per la pronuncia del dispositivo che conclude ogni eventuale successivo grado di giudizio.
Tali termini sono aumentali in misura non inferiore a un terzo quando si procede in ordine a taluno dei reati di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale; il corso della prescrizione si sospende in tutti i casi in cui la sospensione del processo sia imposta da una particolare disposizione di legge, nonché: a) nel caso di perizie il cui espletamento sia di particolare complessità e comporti la sospensione necessaria del processo per un periodo, comunque, non superiore a sei mesi;b) nei casi di rogatorie internazionali quando sia assolutamente necessario sospendere il processo;c) durante il tempo intercorrente tra il giorno della lettura del dispositivo e la scadenza dei termini per l’impugnazione;d) durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore ovvero a causa dell’assenza, dell’allontanamento o mancata partecipazione del difensore che renda privo di assistenza l’imputato, ovvero per effetto della dichiarazione di ricusazione del giudice o della richiesta di rimessione del processo. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione”.
Siccome le problematiche relative alla prescrizione sono stata affrontate anche dalla Commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale, e dovendosi necessariamente procedere ad un coordinamento tra i testi predisposti dalle due Commissioni, peraltro di tenore simile, si è ritenuto di mantenere nel codice penale la prescrizione del reato e di demandare al codice di rito la “prescrizione del processo per decorso dei termini” (direttiva 1.8 della commissione presieduta dal prof. Giuseppe Riccio)“.