Prescrizione del reato. La gente civile ed i barbari
4 Febbraio 2012 in Appunti
Si parla molto di prescrizione negli ultimi tempi, a proposito del processo Berlusconi-Mills.
La prescrizione è una causa che estingue il reato per il decorso del tempo. Ossia, dopo un certo periodo dalla commissione del reato, c’è la cancellazione. Così è nel nostro codice penale. Nel 2005, sono stati accorciati di parecchio i tempi di morte di un reato (legge ex-Cirielli).
La regola generale è che la prescrizione è pari alla pena massima prevista per un reato: se per un reato, la pena massima prevista è di 10 anni, la prescrizione è di 10 anni, decorrenti dal momento in cui il reato è commesso. Se per un reato punito con la pena massima di 10 anni, non si trova il colpevole, dopo i 10 anni il reato “muore”, anche se viene scoperto il colpevole, dopo 10 anni e un giorno. Inoltre, il processo che non si concluda definitivamente, entro i 10 anni (oltre un aumento di un quarto per atti interruttivi), dalla commissione del reato, muore.
Accanto alla prescrizione del reato (prevista dal nostro codice penale), esiste inoltre la prescrizione dell’azione: ossia “muore” la possibilità di procedersi nei confronti di un imputato, solo se lo Stato rimane inerte per un certo periodo di tempo.
In molti paesi, non può dichiararsi prescritto un reato, mentre c’è attività processuale nei confronti di un imputato, ossia non vi è l’inerzia dello Stato.
In Italia si discute da decenni se affiancare alla prescrizione del reato, anche la prescrizione dell’azione.
La mia opinione, tradotta in un disegno di legge, è quella della previsione di un tetto massimo di prescrizione del reato più elevato dell’attuale, stabilendosi però, che il tempo della prescrizione non scorra, mentre venga celebrato il processo, ossia quando non esiste l’inerzia. Ovviamente, ciò presuppone che la macchina della giustizia funzioni e che si abbattino i tempi morti di un processo.
Infatti, i tempi lunghi del processo sono il frutto della somma dei tempi morti, ossia di quei tempi, durante i quali, non viene svolta alcuna attività.
Quando si dice che un processo è durato tanti anni, non significa che per i tanti anni, lo Stato si sia occupato d’esso; significa che lo Stato, ogni tanto, si è occupato di quel processo.
La soluzione proposta dal mio disegno di legge (n.584 del 16 maggio 2008), è in linea con la dottrina che ritiene l’opportunità della doppia prescrizione (quella del reato e quella dell’azione).
Per chiarire: il processo per un reato, può essere semplice (ad esempio, un solo autore, zero testimoni, zero necessità di perizie, ecc) e può essere complesso (più autori, molti testimoni, necessità di perizie, rogatorie internazionali, ecc.): assurdo che debba esserci l’identico tempo di prescrizione.
Ciò che è intollerabile, è l’inerzia dello Stato. Giusta, quindi, la “sanzione”, ossia la prescrizione. Ma se lo Stato, non è lavativo ed inerte, perchè dichiarare la morte di un reato e, quindi, la fine di un processo?
Per alcuni, anche se lo Stato non è inerte, è giusto che il reato muoia dopo un tant0 di anni da quando è commesso.
La penso diversamente, ribadendo che , se lo Stato non è inerte, non è giusto dichiarare l’estinzione di un reato, casomai dopo anni di attività processuale non dilatoria.
Così, peraltro, è in molti paesi di democrazia occidentale (a cominciare dagli USA). Senza che si arrivi alle distinzioni manichee tra barbari e civilizzati. Sarebbero, invero, civili quelli che “tifano” per la prescrizione del reato, indipendentemente dalla attività processuale con buon ritmo, mentre sarebbero barbari, quelli (tra di essi, io), che vorrebbero assegnare alla prescrizione, il valore della sanzione dell’inerzia.